Ecosistemi

Stagioni e zone fitoclimatiche
Il cambiamento climatico sta influenzando la durata e le caratteristiche delle stagioni, ma anche la fauna e la flora di determinate aree del nostro pianeta. Il clima determina il tipo e la distribuzione della vegetazione e degli ecosistemi e quindi ha un impatto sugli organismi e sugli esseri viventi presenti in determinate aree. Di conseguenza, le caratteristiche dei diversi ecosistemi cambiano con il variare del clima e anche la distribuzione della vegetazione (cioè quella fitoclimatica) cambia in base alle nuove condizioni climatiche determinate dal riscaldamento globale.
Il cambiamento climatico sta fondamentalmente causando uno spostamento delle zone di vegetazione. Ad esempio, il limite degli alberi nell’emisfero settentrionale si sta spostando verso nord, mentre in montagna si sta spostando ad altitudini più elevate. L’arretramento degli ecosistemi artici e alpini è un ulteriore esempio di spostamento delle zone di vegetazione. Allo stesso modo sono cambiate anche le zone climatiche. Dal 1950 al 2010, circa il 5,7% della superficie terrestre è passato a una zona climatica più calda e secca. Il cambiamento climatico genera anche nuove e inedite combinazioni di elementi climatici, rendendo molto difficile la valutazione delle conseguenze che potrebbero derivarne, anche se si ritiene che condizioni meteorologiche più estreme potrebbero verificarsi con maggiore frequenza, causando gravi danni a cose e persone.

Animali e Piante
In genere gli animali e le piante si adattano facilmente alle condizioni climatiche degli habitat in cui vivono, ma i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale stanno modificando queste condizioni e quindi influenzano la fauna e la flora di determinate aree, la loro distribuzione e il loro comportamento; queste nuove condizioni possono portare a un cambiamento dell’intero ecosistema.
In generale, le specie reagiscono ai cambiamenti climatici in modi diversi. Ad esempio, è stato notato che gli uccelli depongono le uova prima del solito e le piante fioriscono prima. Anche la distribuzione degli animali è influenzata dai cambiamenti climatici: molte specie si spostano più vicino ai poli in risposta all’aumento delle temperature globali. Le farfalle, ad esempio, si spostano in direzione dei poli o ad altitudini più elevate, per evitare temperature troppo elevate. È stato rilevato che gli animali e le piante che vivono sulla Terra si spostano in media di circa 11 metri di altitudine e di circa 17 km verso i poli ogni decennio.
Le specie che non riescono ad adattarsi ai cambiamenti climatici, che riducono i loro habitat, nei casi più estremi sono destinate a estinguersi nel prossimo futuro. Quanto più velocemente avvengono i cambiamenti, tanto maggiore è il rischio che animali e piante non riescano ad adattarsi e, quindi, la loro estinzione sarà accelerata.

Biodiversità, funzione e servizi ecosistemici
Il concetto di biodiversità definisce sostanzialmente la diversità di tutte le forme di vita e degli ecosistemi, nonché le interazioni tra i singoli esseri viventi e gli ecosistemi e la diversità genetica all’interno delle specie. La biodiversità e, in generale, il contributo della natura all’uomo, che comprende cibo, acqua, legname, purificazione dell’aria, formazione del suolo e impollinazione, sono minacciati dalle attività umane che causano il declino della biodiversità. Questo fenomeno si sta verificando più rapidamente che in qualsiasi altro momento della storia dell’uomo e rappresenta una grave minaccia per l’intera umanità.
Un alto livello di biodiversità aumenta la robustezza e quindi l’adattabilità di un ecosistema agli eventi avversi, ma se il cambiamento climatico accelera gli ecosistemi saranno colpiti più rapidamente e se non agiamo tempestivamente le attività umane che distruggono la natura e la biodiversità altereranno la capacità degli ecosistemi sani di fornire questa vasta gamma di beni e servizi.
La natura e il benessere umano sono strettamente connessi e tutti dovrebbero esserne più consapevoli. Sebbene oggi si forniscano più cibo, energia e materiali a un numero maggiore di persone nella maggior parte dei luoghi, ciò avviene sempre più spesso a spese della capacità della natura di fornire tali contributi, per cui sarebbe meglio salvaguardarla insieme alla sua biodiversità e ai suoi ecosistemi per garantire un futuro all’intera umanità.

Rischio di estinzione a causa del Cambiamento Climatico
I cambiamenti climatici rappresentano una seria minaccia per l’esistenza di molte specie, poiché i loro habitat naturali si stanno riducendo o stanno scomparendo anche a causa delle attività umane (tra cui l’agricoltura intensiva e il bracconaggio). C’è una specie particolarmente minacciata dai cambiamenti climatici, perché il riscaldamento delle temperature sta letteralmente causando la cancellazione del suo habitat: si tratta dell’orso polare. L’orso polare è probabilmente la creatura più conosciuta dell’Artico. Il crescente scioglimento del ghiaccio marino artico in estate riduce il tempo in cui gli orsi polari possono avere una piattaforma per cacciare le foche. L’accesso limitato al cibo può avere un impatto negativo sul numero di cuccioli e sul successo della loro riproduzione.
Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), l’attuale popolazione mondiale di orsi polari (nel 2020) è stimata in circa 26.000 esemplari. Si tratta solo di una stima. Tuttavia, gli scienziati hanno stabilito con una certezza del 95% che oggi sulla Terra esistono tra i 22.000 e i 31.000 orsi polari, il che significa che questa specie è minacciata di estinzione. Le stime sull’evoluzione della popolazione di questa specie dipendono da ipotesi sul futuro riscaldamento globale e sul suo impatto sul ghiaccio marino. È chiaro che la sopravvivenza degli orsi polari come specie è minacciata dallo scioglimento dei ghiacci e una cosa è chiara: più rapidamente si scioglieranno i ghiacci polari, più rapidamente queste specie scompariranno se non troveremo una soluzione al riscaldamento globale.

Ecosistemi della barriera corallina colpiti dal cambiamento climatico
Gli ecosistemi delle barriere coralline sono molto delicati, dove prosperano miriadi di altre specie marine, e sono ora minacciati dai cambiamenti climatici: il riscaldamento degli oceani sta infatti causando uno stress termico che contribuisce allo sbiancamento dei coralli. Un picco di 1-2°C nelle temperature oceaniche sostenuto per diverse settimane non solo porta allo sbiancamento, facendo diventare i coralli bianchi, ma se i coralli vengono sbiancati per periodi prolungati, finiscono per morire.
Solo il contenimento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali rappresenta l’unica possibilità di sopravvivenza delle barriere coralline a livello globale, ma l’intera comunità mondiale dovrebbe impegnarsi per limitare l’aumento della temperatura a 1.5°C, in linea con l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, per limitare altri danni ad altri ecosistemi. Se l’Accordo di Parigi sarà pienamente attuato, probabilmente assisteremo a una diminuzione delle concentrazioni di carbonio nell’atmosfera e quindi a una limitazione dell’effetto di riscaldamento. Inoltre, l’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica viene assorbito dagli oceani e questo acidifica gli oceani, provocando altri danni e impedendo la calcificazione degli esoscheletri necessari per la sopravvivenza di altre creature marine, come ad esempio conchiglie e lumache.
Sebbene le barriere coralline occupino meno dello 0,1% dei fondali oceanici, esse ospitano un quarto di tutte le specie di pesci marini, ovvero più specie delle foreste pluviali. Molte specie marine usano le barriere coralline come riparo e rappresentano anche un ambiente ideale per la deposizione delle uova. Le barriere coralline sono vitali anche per l’uomo: proteggono le coste riducendo l’impatto delle tempeste e delle onde, che possono causare distruzione ed erosione del suolo.

Praterie e Savane
Le praterie e le savane sono due ecosistemi diversi, noti insieme come biomi erbosi tropicali (TGB). La loro importanza è evidente: si stima che coprano un terzo dell’Africa e un quinto della superficie mondiale, ma solo di recente i conservazionisti stanno concentrando la loro attenzione sulla conservazione di questi due TGB. Questi due ecosistemi non solo sostengono una parte crescente della popolazione mondiale, ma ospitano anche la maggior parte della megafauna rimanente al mondo (grandi animali come gli elefanti: in questo caso le soglie più comuni utilizzate sono il peso superiore a 45 chilogrammi, ovvero 100 libbre, cioè una massa paragonabile o più grande di un essere umano, o oltre una tonnellata, 1.000 chilogrammi (2.205 libbre), e sono una riserva critica di biodiversità).
A causa del cambiamento climatico, si prevede che nei prossimi decenni le savane saranno fortemente influenzate dal cambiamento dei modelli di precipitazioni, tra cui l’aumento dei periodi di siccità e la diminuzione delle precipitazioni annuali. A causa dell’aumento della temperatura globale, la copertura erbosa diminuirà nelle savane secche e la desertificazione avanzerà.
Le savane sono di solito una zona di transizione tra una foresta e una prateria, il che significa che gli alberi ad alto fusto sono ancora presenti, ma sono sparsi e il terreno è coperto di erbe. Questo particolare ambiente è seriamente minacciato dai cambiamenti climatici, infatti gli eventi meteorologici estremi come la siccità sono diventati sempre più gravi, e anche dalle attività umane come il disboscamento, lo sviluppo, la conversione all’agricoltura, il pascolo eccessivo del bestiame e l’introduzione di specie vegetali non autoctone.

Deserti
I deserti rappresentano un particolare ambiente caratterizzato da una bassa piovosità media annua, di solito 100 millimetri (meno di 4 pollici) di pioggia all’anno o meno. Le regioni desertiche sono infatti caratterizzate dal fatto che dal suolo evapora più acqua di quanta ne venga sostituita dalle precipitazioni, e in generale sono estremamente calde, ma alcune, come il famoso Deserto del Gobi situato in Asia orientale (copre parti della Cina settentrionale e nordorientale e della Mongolia meridionale), conoscono inverni molto freddi. Da notare che i deserti che sono caldi di giorno, possono diventare freddi di notte. Questo drastico cambiamento è dovuto alla mancanza di isolamento fornito dalle nuvole e dall’umidità. La definizione di deserto non implica sempre che si tratti di luoghi caldi e inospitali, infatti le piante, i piccoli animali e gli altri organismi che vivono nei deserti si sono evoluti per sopravvivere a condizioni difficili.
Molte piante del deserto, come i cactus nelle Americhe, sono in grado di assorbire e immagazzinare acqua, permettendo loro di sopravvivere a lunghi periodi di siccità. Alcuni animali si sono adattati a ricavare acqua dal cibo che mangiano e a conservare i nutrienti da ciò che trovano in questi ambienti particolari. Questi animali che vivono nei deserti spesso escono solo di notte per evitare il peggio del caldo.
Tuttavia, il cambiamento climatico, che già minaccia l’esistenza di molte specie ed ecosistemi, sta peggiorando le condizioni di queste aree particolari. Un segnale evidente e allarmante dei cambiamenti causati dal riscaldamento globale è stato evidenziato nel 2018 da una ricerca condotta dall’Università del Maryland che ha messo in luce come il più grande deserto, il Sahara, si sia espanso del 10% dal 1920. Il Sahara è il più grande deserto caldo del mondo, di dimensioni approssimativamente pari ai deserti degli Stati Uniti. Altri risultati suggeriscono che i cambiamenti climatici causati dall’uomo, così come i cicli climatici naturali come l’Oscillazione Multidecadale Atlantica (AMO), hanno causato l’espansione del deserto.